La Diocesi di Ozieri accoglie una famiglia di profughi afghani
Saranno assistiti dalla Caritas diocesana.
OZIERI. Lo scorso giovedì 2 settembre la Caritas della Diocesi di Ozieri ha aperto le porte dell’accoglienza ad alcuni profughi afghani fuggiti dal loro Paese, ritornato dopo 20 anni sotto il rigido controllo dei Talebani. Si tratta di una famiglia di 7 persone, due anziani genitori con 5 figli (due ragazze e tre ragazzi di età compresa tra i 20 e i 30 anni) arrivati in Sardegna da Roma il 1° settembre insieme ad altri 80 profughi. Ripartiti tra le province sarde, 32 sono stati destinati a quella di Sassari.
Per ospitare la famiglia a Ozieri, gli operatori della Caritas diocesana hanno lavorato intensamente creando un ponte di contatti tra Prefettura, responsabili e coordinatori. Gli elementi da valutare, infatti, sono stati tanti, dalla sicurezza personale a quella sanitaria, fino ai visti, documenti e certificati.
Appena arrivata in città con un pulmino partito da Sassari, la famiglia è stata subito accompagnata dai volontari Caritas nella loro nuova casa. La prima reazione è stata quella di correre all’interno di essa e constatare la sicurezza di porte e finestre. Una verifica istintiva, figlia evidentemente di una paura ancora viva nonostante i migliaia di chilometri che li separano dal loro Paese. Distanza che hanno cercano subito di annullare, provando con trepidazione a collegare i propri telefonini a internet per sentire i loro parenti rimasti in Afghanistan. Tra le loro preoccupazioni, però, una pare momentaneamente quella più importante: sapere quanto tempo potranno rimanere nella nuova abitazione.
Ad accogliere la famiglia ci sono la vice direttrice della Caritas diocesana Giovanna Pani, il presidente della Cooperativa SPES Tonino Becciu, mons. Giovanni Dettori con il parroco della Cattedrale don Antonello Satta a cui si sono aggiunti il parroco di San Francesco don Roberto Arcadu e don Antonio Loi.
Parla italiano solo il figlio maggiore, perché ha lavorato con i soldati italiani e la Brigata Sassari, il primo punto di contatto con la Sardegna. In famiglia «siamo tanti – racconta il ragazzo agli operatori Caritas – mio padre ha tanti fratelli e nipoti, siamo quasi 300 cugini. Per me – sottolinea – un cugino è come un fratello».
Le ragazze e la madre indossano lo hijab e stanno in disparte, non capiscono l’italiano, osservano ansiose e in silenzio cercando di intuire quel che si dice. Sorridono e annuiscono appena il figlio maggiore spiega loro che potranno stare in casa e soprattutto che potranno viverci da soli, senza la presenza di estranei. Una bella notizia che porta subito un po’ di serenità, dopo giorni di paura e incertezza.
Adesso finalmente possono sistemare le loro poche cose nelle camere, fare una doccia e stilare anche un elenco di ciò di cui hanno bisogno. Gli serve tutto, perché dentro agli zaini c’è ben poco! Il capo famiglia in Afghanistan aveva una piccola fabbrica, ma i talebani l’hanno requisita e ora non sanno che fine abbiano fatto le loro cose. Una delle due ragazze stava per laurearsi, ma come ha saputo dell’arrivo dei talebani ha dovuto abbandonare gli studi e l’università.
Nel frattempo arriva anche la connessione a internet attraverso una scheda prepagata recuperata in tutta fretta. Il sorriso si allarga sui volti di tutta la famiglia, in particolare del ragazzo più giovane che finalmente appare più sereno, da quando è arrivato infatti era rimasto in disparte ad ascoltare musica araba. In un attimo i telefoni si collegano alla rete e parte una videochiamata. Tutta la famiglia si raccoglie intorno al cellulare, si sente parlare arabo, qualche risata e voci di bambini che salutano.
È ora di andare via, i volontari Caritas sanno che la privacy è importante. Il momento dell’accoglienza per oggi è finito, da domani si cercherà di dare a questa famiglia un po’ di normalità.