La vendemmia in Gallura tra passato e presente
Il profumo è sempre lo stesso, quello del mosto dopo la pigiatura. I colori invece spaziano dal rosso rubino al giallo paglierino. Cambia il vitigno, cambia il vignaiuolo ma la tradizione è sempre la stessa. I mesi di settembre e di ottobre caratterizzano il territorio della Gallura (e non solo) per il duro lavoro nelle aziende vitivinicole, sia quelle a conduzione familiare sia quelle che già ricoprono un importante ruolo nel panorama internazionale del settore. A cabidanni (settembre in logudorese, dal latino caput anni) si raccolgono i frutti di un intero anno di lavoro. E da quei frutti si ottiene quell’ampia varietà di vini che accompagna ogni famiglia nei momenti di fatica e di allegria.
A settembre riprendono lentamente le piogge, la terra si ammorbidisce dopo la calura estiva e il lavoro si riappropria di quella ciclicità che da secoli caratterizza le attività agropastorali. Ancora per poco i vigneti continueranno a tingere di verde le dolci colline riarse dal sole estivo. Nella civiltà degli stazzi la vendemmia costituiva una delle tante attività agropastorali in cui la pratica del mutuo soccorso, sa manialia, garantiva la buona riuscita del lavoro. Intere famiglie si spostavano da uno stazzo all’altro per aiutare parenti o amici, certe di ricevere lo stesso trattamento al momento opportuno.
Ancora oggi, nonostante il radicale cambiamento che ha stravolto tutte le fasi di lavorazione della vigna per la sopraggiunta meccanizzazione delle stesse, la manialia continua a caratterizzare i brevi ma intensi momenti familiari e amicali nel segno della tradizione. Ed ecco che parenti e amici faticano e gioiscono lungo i filari. Esattamente come nel passato. Chiudo gli occhi, respiro profondamente e la mente si allontana… Li vedo i miei avi avanzare lentamente vitigno dopo vitigno e riporre i grappoli raccolti in s’ajone (contenitore semicilindrico di sughero). Sento le chiacchiere, le risate e i commenti che si susseguono. Battute che si rincorrono, quelle della mamma che richiama all’ordine il figlio che giocherella e si distrae dalle faccende e quelle degli uomini che programmano il da farsi.
Ecco poi i bambini che vengono chiamati per schiacciare a piedi nudi gli acini riversati dentro su laccu de linna (tino, contenitore di legno). Corrono e urlano. Subito gridolii e schizzi che prendono direzioni diverse e rallegrano la compagnia. Anche sa suppressa (torchio) è pronta e le vinacce vengono strizzate per bene. Poi vedo il padrone di casa che come ogni anno decide di produrre s’abarella (acquarella). Consumerà quel vino in attesa che l’altro giunga a maturazione.
Novembre è troppo lontano e il dono di Bacco dell’anno precedente è terminato. Così prende le vinacce ormai avvizzite, le smembra e le ravviva con dell’acqua. Le versa nuovamente nel torchio per produrre un vino leggerissimo dal colore poco definito. Lui è felice e io lo sono per lui. Lo vedo mentre lo sorseggia e lo immagino tempo dopo mentre gusta quello più corposo nella giornata di San Martino o forse qualche giorno prima. Una voce squillante di donna spezza il fragore giovanile e richiama l’attenzione. Il pranzo è pronto e allenterà la stanchezza.
Sos maccarrones de manu nostra fumanti vengono assaporati voracemente e la fatica sembra più lontana. Il desiderio di cingere l’amata spinge poi il giovane innamorato a richiamare a sé la fanciulla, le porge la mano e la invita a disegnare più volte cerchi perfetti. Dolcemente rallentano e poi riprendono a dondolare come fossero cullati dalle viscere della terra mentre il canto a due voci continua a scandire il tempo che passa. Sento il loro cuore che batte. Vedo i loro occhi che timidamente si incrociano e il leggero rossore che invade i loro visi.
I bambini continuano a giocherellare mentre le donne e gli uomini si riposano prima di riprendere il lavoro. Sento sempre più forte le cicale che friniscono; solo per qualche attimo interrompono il loro canto. Il breve silenzio alleggerisce l’aria ma poi senza preavviso riprende vorticosamente quel ritmo cadenzato che accompagna l’uomo sino al tramonto. Avverto una leggera brezza. Ondeggia la chioma della sughera e un intenso odore di terra calda stordisce il mio olfatto.
La giornata di lavoro non è ancora giunta al termine e il sudore continuerà a scivolare lungo la fronte. Ora tendono tutti un braccio al cielo stringendo un bicchiere nel palmo della mano. Brindano felici, perché un bicchiere di buon vino è sempre auspicio a fare meglio e a farlo in ottima salute, soprattutto insieme a chi si ama. Ho ancora gli occhi chiusi, li vedo gioire. E mentre un sentimento di nostalgia mi pervade, la felicità di rivivere ancora oggi quei momenti accompagna il mio risveglio dal torpore dei ricordi.
Piera Anna Mutzu