Il viaggio da Londra a Ozieri in tempo di Covid di un’emigrata ozierese
Da Londra a Ozieri. Maria Pani dal 2013 vive e lavora nella città londinese con il marito e la figlia. Come ogni anno nel periodo estivo ritorna a casa dai suoi familiari. Nel suo viaggio verso l’Italia ha toccato con mano i disagi, la paura e quel senso di vuoto che la pandemia riesce a trasmette nell’animo di ognuno di noi attraverso regole e restrizioni contradditorie e a volte senza senso. Maria ci ha scritto proprio per raccontarci questa avventura e il suo stato d’animo, certamente diverso da quello degli anni passati, dove la gioia del ritorno a casa era il sentimento predominante.
«Ultimamente mi viene spesso in mente un ricordo di qualche anno fa.
Tornavo da Londra dopo diversi mesi. L’intrepida attesa di rivedere la mia famiglia e gli amici, la voglia di sole e di mare mi spingevano a curiosare fuori dal finestrino del signore seduto accanto a me. Aspettavo di intravedere la nostra isola, il colore del mare e il sole riflettersi sulle onde. Quando l’aereo ruota attorno a Capo Caccia lo spettacolo è mozzafiato. Sarà che ad Alghero ci sono anche un pochino cresciuta durante le lunghe, al tempo, vacanze estive di quando ero bambina e adolescente.
In quell’occasione non avevo risparmiato il sorriso. Vedendo Capo Caccia comparire avevo pensato “casa. Finalmente!”. Il signore seduto accanto era un pensionato inglese in viaggio alla ricerca di relax e pace. Vedendomi curiosare dal finestrino mi aveva chiesto: “Torni a casa?” Con sorpresa avevo annuito tenendo il sorriso disteso da guancia a guancia. “Si vede!” Aveva proseguito “hai il sorriso di chi torna a casa”.
Questo Agosto invece i sorrisi non li abbiamo visti. Eravamo bardati di mascherine FP2, chirurgiche… vattelapesca! Qualsiasi cosa che ci coprisse naso e bocca. Abbiamo viaggiato in un ambiente più arido e sterile del solito e potendo solo intravedere gli occhi di chi ci sedeva accanto.
Le misure che ci sono state imposte erano tante: lavare le mani (come se questa pratica fosse sconosciuta prima di Covid…), usare il gel disinfettante ogni due per tre (e pensare che un anno fa quando tiravi fuori l’amuchina dalla borsa prima di mangiare la pizza ti prendevano pure per scemo) e questa benedetta mascherina da indossare non appena varcate le soglie dell’aeroporto.
Fare un viaggio in aereo con la mascherina indosso non è il massimo della comodità, specialmente se siete claustrofobici. E come se non bastasse non era permesso alzarsi se non accompagnati dal personale di volo.
Per andare al bagno era necessario prima pigiare il bottone sopra la nostra testa, aspettare che un membro dell’equipaggio giungesse al nostro sedile e chiedere come alle elementari “devo andare al bagno”. Immaginiamoci con una bambina di un anno e mezzo, tra pannolini e cambi vari.
Non potevamo muoverci ma eravamo sempre e comunque schiacciati l’uno sull’altro. Qui arriva la contraddizione. Numerose regole imposte e poi alla fine dei conti quella famosa distanza, un metro… forse due… boh, che fine ha fatto?!
Ho trovato contraddittorie le raccomandazioni e le regole se poi alla fine eravamo comunque a prescindere gomito a gomito con perfetti estranei.
In aeroporto non potevamo sederci uno accanto all’altro ma sull’aereo le file da tre erano comunque tutte occupate e tra il mio gomito e quello della signora accanto la distanza era forse di un millimetro. Sì, non viaggio in business class… penso lo abbiate capito.
Il mio punto di riflessione verte su fino a che punto le restrizioni funzionino. Premetto che io sono pro mascherina e ho assolutamente colto la gravità del caso. Mi stupisce solo vedere così tante contraddizioni.
Al nostro arrivo ci è stata misurata la febbre e attraverso l’app Sardegna Sicura dovevamo rilasciare l’indirizzo di “permanenza” in Sardegna per un’eventuale tracciabilità. Beh, con noi l’app non ha funzionato, non accettava i nostri indirizzi email e abbiamo dovuto spiegare che non avevamo potuto depositare i nostri indirizzi. Nessuno è sembrato così tanto preoccupato della cosa.
Dando uno sguardo in giro ho pensato “ah ok… ci si affida al buon senso allora.” Alla fine ci siamo posti mille problemi e ci siamo abbracciati con riluttanza e guardandoci attorno per vedere se dopo 8 mesi fosse permesso dare un abbraccio ai propri cari.
Il buon senso non ha impedito assembramenti e non ha impedito l’apertura di locali che vivono di assembramenti.
Affidandoci sempre a questo buon senso il numero dei positivi è di nuovo salito e noi viviamo nuovamente nel limbo dell’incertezza. Con la paura di vederci chiudere di nuovo che spinge come un chiodo sulla fronte martellato dalla continua informazione e/o disinformazione.
Ho parlato di regole, di buon senso e in qualche modo di libertà.
Il problema più grave che a mio avviso questa pandemia ci sta ponendo è il capire fino a che punto il nostro buon senso vince sulla libertà e fino a che punto le regole che ledono la libertà personale scivolano tra gli sdrucciolevoli confini di questo benedetto buon senso.
Perciò prima di accusare qualcuno di essere untore, addirittura una intera regione, bisognerebbe ragionare su quanto questo buon senso si sia trasformato nel gioco di palla infuocata. Tutti accusano tutti ma nessuno ne risponde. È un cane che si morde la coda dal governo al vicino di casa, dal business al consumatore, dal ragazzo che va a ballare perché alla fine dei conti gli è stato concesso al gestore che le distanze non le ha potute fare rispettare.
La verità non è certo nelle tasche di nessuno e la confusione abbonda tra mille incertezze. Ciò che è certa è la presenza/assenza dello Stato che ha fatto e non fatto, per garantire ai cittadini il rispettaro queste norme senza temere un disastro fatto di lavori persi, casse integrazione non pagate e business lasciati morire.
Per il resto noi continuiamo a osservare UK in presenza e Italia in lontananza sperando che le videochiamate non siano i nuovi abbracci.
Nella foto: Il sonno di Londra. Lockdown 2020. Foto di Renato Pinna.