Modi di dire nel Logudoro, “su risu de sa mela granada”
La risata è una cosa seria e su questo non c’è alcun dubbio. Non è da tutti riuscire a strapparne una. Forse un sorriso è cosa più facile ma proprio crebare dai su risu (crepare dalla risata) accade di rado e quando succede vorremmo reiterare l’esperienza. Di origine elevata risus fu, di rango povero riso oggi è.
Innanzitutto è bene chiarire (anche se forse l’informazione è superflua) che esistono risate di varia intensità e per capirne meglio il senso non resta che guardarci intorno e osservare gli esseri viventi sia a quattro zampe che a due, comprese le piante e il loro frutto.
Cominciamo. Avete mai visto una volpe ridere? Non credo. Ma tutti sappiamo qual è la sua caratteristica dominante, Esopo ce l’ha ben rappresentata nelle sue favole. Lei, mantello folto e dorato, furba e ingannevole. Ed ecco che se vi trovate di fronte ad una persona che sorride con malizia magari anche fiera di aver fregato qualcun altro non potete che pronunciare con disgusto una frase del tipo “Abbaida cussu cun su risu mazzoninu” (guarda quello con il riso volpino). E l’interlocutore ha chiara l’immagine che lo aiuta a dissipare ogni dubbio e prova disgusto anche lui.
Cambiamo scenario. Pensiamo alla stagione in corso. L’aria torrida che abbrustolisce il viso e voi sdraiati nella sedia a dondolo sotto l’ulivo. State cercando di riposare ma nulla, perché lei con il suo verso cadenzato vi tiene compagnia. I minuti passano ma la cicala continua imperterrita i suoi vocalizzi. Interrompe brevemente e, Deo gratzias (grazie a Dio), avvolti dal silenzio vi lasciate andare, il respiro si fa più lento e più lento ancora finché le membra perdono tonicità e Morfeo vi seduce. Ma un sussulto vi fa accelerare maledettamente il battito cardiaco perché la cicala ha ripreso sguaiatamente a frinire.
Che noia. Come le solite conversazioni con quel parente. Di quelli pesanti, quelli che fanno pure rima con serpenti. Quelli che ricordano nei minimi dettagli di quando eravate piccoli e facevate le marachelle e ad un certo punto sbottano in una risata. Ridono, ridono e ridono. Noiosamente, abbondantemente e sguaiatamente. “Su risu ’e sa chìgula” (il riso della cicala) pensi inevitabilmente. Parente, questa te la sei proprio cercata…
Ci sono altri detti che riguardano la risata e che riprendono comportamenti anche discutibili di quadrupedi e bipedi. In ogni angolo della Sardegna i riferimenti non mancano ma passerei subito a quello che, per rimanere in tema, mi fa ridere di più. Stiamo parlando di un frutto. Il tempo della raccolta sarà l’autunno e potremmo vederlo ancora ai primi di novembre attaccato all’albero nella condizione a cui ci stiamo riferendo. Non si presenta più integro e immacolato, nella fase in cui se vuoi vedere e mangiare ciò che c’è dentro devi aprirlo a metà. Mi riferisco alla fase di super maturazione, quando è rimasto attaccato alla pianta perché magari il proprietario si è dimenticato di raccoglierlo oppure non può perché impegnato in altre attività. Risulta tagliato in due, praticamente due metà perfette e l’apertura è talmente ampia che sembra quasi sul punto di smembrarsi.
Sto parlando della melagrana. Non lo direste mai che un frutto così composto e dall’aspetto tanto regale si conceda poi all’esagerazione e alla sguaiatezza della forma. Nel preciso momento in cui si squarcia perde la corona di cui l’estremità è dotata e il bon ton addio, finito, dimenticato per sempre.
È come una persona di bell’aspetto, vestita di tutto punto. Tu la osservi parlare e segui il movimento appena accennato della bocca mentre pronuncia delicatamente le parole, quelle stesse che dette da te sembrerebbero appartenere ad altra lingua. Equilibrio e pacatezza caratterizzano quell’essere superiore. Ma ecco che ad un certo punto, sul più bello della chiacchierata, il galateo della conversazione viene dimenticato e la persona di bell’aspetto si trasforma in una persona di solo aspetto. Una risata sprezzante squarcia il silenzio, la sua bocca spalancata disegna un volto deformato e la paura che si possa bloccare l’articolazione è la possibilità più gettonata. “Su risu de sa mela granada” (il riso della melagrana) pensi. Perché in realtà non glielo puoi neanche dire visto che non è proprio un complimento. Semmai usi quella formula se devi spiegare a qualcun altro come si è conclusa la conversazione. Perché si capisce molto bene, soprattutto se la melagrana l’hai vista ridere sull’albero esattamente come quella persona.
Per concludere e riabilitare un po’ la risata direi che risus abundat in ore stultorum (il riso abbonda sulla bocca degli stolti), non solo quelli veri però…
Piera Anna Mutzu
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