• 21 Novembre 2024
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Cna Sardegna, la grande distribuzione scarica i costi sui piccoli produttori

Supermarket frutta
«Ad oggi si può dire che la questione del costo del cibo sia fuori controllo». Mattu (presidente di CNA Agroalimentare Sardegna): «Gli aumenti richiesti dalle imprese di trasformazione sono mediamente sopra il 10%, ma l’incremento ammesso dalle principali insegne della Distribuzione Moderna è nella migliore delle ipotesi inferiore alla metà».

«Non c’è pace per l’agroalimentare isolano. Non è bastata la pandemia a generare problemi enormi soprattutto sul fronte del canale Ho.Re.Ca. Non bastavano i danni causati nell’ultima settimana, dal blocco dei porti nei principali scali marittimi regionali, per le imprese del fresco e non solo. Non bastava il rincaro sproporzionato di materie prime ed energia, che hanno avuto ripercussioni pesantissime sul costo finale dei prodotti alimentari. Ci si mette anche la GDO a peggiorare la situazione». Così la Cna Agroalimentare Sardegna che interviene con una nota per denunciare quanto sta accadendo con i prezzi.

Le microimprese fornitrici delle insegne della Distribuzione Moderna chiedono adeguamenti dei propri listini, la maggior parte dei quali sottoscritti in tempi non sospetti e con costi di produzione ben inferiori a quelli attuali. Ma tutti o quasi riscontrano una forte resistenza con la controparte, che cerca di limitare al massimo gli aumenti o di applicarli su lunghi lassi di tempo.

Gli aumenti incontrollati di energia, gas e carburanti, oltre che di quasi tutte le materie prime alimentari tra le più importanti nella dieta mediterranea, come il grano, i formaggi, la carne, erano già iniziati nella prima metà del 2021 e si sono via via significativamente incrementati senza battute d’arresto.

Tra le voci più evidenti vi sono la farina, il mais, i cereali in generale, che hanno segnato impennate sino al 100%. Ma anche burro, latte in polvere, carne, formaggi, verdure hanno registrato aumenti tra il 50 e l’80%.

A questi si aggiungono tutti i prodotti non alimentari, ma indispensabili per l’operatività dell’azienda e per presentare il prodotto a scaffale, come per esempio, il packaging. Cartoni, film, pellicole di imballaggio e persino le pedane per la movimentazione delle merci hanno subito aumenti dal 60 al 80%.

I problemi erano già palesi l’estate scorsa, ma si sono acuiti con il conflitto in Ucraina, complici le immancabili speculazioni del caso. Dopo un primo periodo in cui i trasformatori hanno cercato di gestire gli aumenti assorbendo e sopportando direttamente i maggiori costi, senza applicare rialzi, è stata giocoforza necessaria la decisione di proporre ritocchi dei listini nella vendita diretta, quanto nella contrattazione con la Grande Distribuzione.

Ma fornitori della GDO, soprattutto i più piccoli, che hanno poco potere contrattuale, stanno incontrando resistenze enormi in questo senso.

«Dalla seconda metà del 2021 la situazione è precipitata perché gli aumenti dell’energia e del gas, già prima del conflitto in Ucraina erano diventati insostenibili. Il risultato è che le imprese di trasformazione si trovano schiacciate tra il fornitore di materie prime, che continua ad aumentare il costo del prodotto e la Grande Distribuzione che contesta il maggior prezzo – ha spiegato il presidente CNA Agroalimentare Sardegna Alessandro Mattu – gli aumenti richiesti dalle imprese di trasformazione sono mediamente sopra il 10%, ma l’incremento ammesso dalle principali insegne della Distribuzione Moderna è, nella migliore delle ipotesi, inferiore alla metà.

«Certe volte la risposta è un diniego completo, altre è di distribuire l’incremento su un arco temporale molto ampio, di diversi mesi: un termine troppo lungo, che rischia di portare molte aziende alla chiusura», sottolinea Mattu.

La possibilità di farsi strada e vedere riconosciuti i propri diritti nella contrattazione con le grandi insegne della GDO è fortemente relegata alla capacità del singolo imprenditore e alla sua forza nella gestione del rapporto commerciale. E questo accade a dispetto dell’entrata in vigore della normativa europea in materia di pratiche sleali.

«C’è inoltre da dire – aggiunge Mattu – che per ogni vendita le aziende perdono circa il 50%, perché i produttori si stanno comunque facendo carico della differenza nell’aumento dei costi, che non stanno cercando di ribaltare completamente sul consumatore. Stanno invece cercando di assorbire l’aumento con una riduzione dei loro margini, ma a quanto pare nemmeno questo basta».

Il paradosso è che chi ha contratti in essere alle condizioni precedenti alla crisi attuale, deve sperare che le richieste di prodotto da parte del cliente siano minime. La speranza, paradossale, è che si debba produrre e vendere poco per limitare il danno.  Meglio lavorare meno, che rischiare il fallimento.

Se da una parte la Grande Distribuzione fa da cuscinetto tra produttori e consumatori, nel tentativo di tutelare il potere di spesa del cittadino, dall’altra, questo ruolo – che tra l’altro per sua natura dovrebbe essere in capo alle istituzioni – garantisce alle grandi insegne del commercio, di mantenere elevati gli utili come se nulla stesse accadendo.

«In più, è proprio il caso di precisarlo – sostiene Mattu – i dipendenti delle imprese di trasformazione legati ad un’attività fortemente compromessa, rischiano di perdere il lavoro, generando così ulteriori problemi sul piano economico e sociale».

«Le imprese produttrici, soprattutto le più piccole e deboli nel mercato, hanno un interesse forte a mantenere i rapporti di fornitura con la GDO, ma è urgente una ripartizione dei costi sull’intera filiera che non soffochi chi si trova nel mezzo, così come è necessario che si attivi un sistema di monitoraggio e di protezione dalle speculazioni sulle materie prime», aggiunge la Responsabile CNA Agroalimentare Sardegna Maria Antonietta Dessi.

In tutto questo, appare gravissimo che anche alcune associazioni di consumatori instillino dubbi e sospetti nei propri aderenti su chi sta traendo vantaggio da questa condizione, in molti casi puntando il dito sui produttori più piccoli.

«Sono accuse gravi che rimandiamo al mittente, perché fatte senza considerare le azioni di geopolitica in atto – continua Dessì –, le speculazioni in ambito internazionale, le oggettive problematiche di movimentazione delle materie prime negli scenari di guerra e quelle derivanti direttamente o indirettamente dal conflitto bellico in atto. Il consumatore ha purtroppo toccato con mano gli aumenti di energia elettrica, carburanti e gas, con bollette fuori controllo e prezzi alla pompa senza precedenti e ha elementi per comprendere che tutti indistintamente, famiglie e imprese stanno vivendo un momento storico drammatico».

«Mettere i consumatori contro le imprese, soprattutto quelle del territorio, che operano sotto casa, non ha senso, se non inasprire gli animi in un momento già di per sé molto delicato», conclude Dessi.

Grazia Niedda 1
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