• 26 Novembre 2024
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Essere genitori e docenti in tempo di Covid… una grande sfida

Mamma e docente 2
La riflessione di una professoressa.

«Essere genitori e docenti in tempo di Covid credo sia una grande sfida. Se poi questi due ruoli si sovrappongono la sfida si fa davvero impegnativa. Certo, esistono altre categorie professionali che stanno attraversando una fase difficile della loro vita-carriera. Per esempio i medici e tutti gli operatori sanitari. Di fronte al loro carico emotivo e stanchezza fisica le mie appaiono cosucce di poco conto. Ma poi ritorno alla mia vita e non posso fare altro che pensare nuovamente che sia un percorso ancora tutto in salita. Perché diciamocelo, possiamo anche pensare agli altri e trarre insegnamento dalle esperienze altrui ma poi veniamo risucchiati egoisticamente da ciò che ci circonda e riguarda noi e la nostra famiglia.  

Sono già trascorsi due anni da quando la mia esistenza fatta di uscite (selezionate), compleanni (quelli sempre parecchi) e riunioni in presenza (anche queste tante) scandivano le giornate della nostra routine settimanale. Il solo ricordo scatena forti emozioni e quella che sembrava una vita semplice, impegnata ma talvolta monotona ha acquistato ormai un altro sapore. Non c’è niente da fare. È proprio come si dice: spesso si dà il giusto valore alle cose quando le perdi. Oggi le poche uscite sembrano vacanze di Natale, l’attesa è la medesima e pure le aspettative non si discostano di molto. Scambiare due parole con la vicina, con la collega o con l’amica hanno il sapore di un bacio rubato, tanto sono carichi di emozione quei momenti.

Mi rendo conto di essere diventata bulimica di chiacchiere, quelle dal vivo, dove riversi le tue paure e i tuoi pensieri ad un interlocutore che cerca affannosamente di fare altrettanto. Ma nonostante ognuno abbia le proprie preoccupazioni e i personali pensieri da condividere c’è sempre un denominatore comune: parlare, parlare, parlare. Ma allora, perché se sento questa necessità da donna e mamma, quando vesto l’abito dell’insegnante le chiacchiere degli alunni mi sembrano sempre troppe? E mi allarmo subito se le distrazioni risultano essere più numerose del dovuto? Il campanello d’allarme suona subito e comincio a monitorare la situazione. Ogni tanto (?) ci scappa un rimprovero, dolce o un po’ più deciso in base alla situazione. Poi quando torno a casa e rivivo mentalmente la mattinata appena trascorsa penso. Penso che anche lei, l’alunna spigliata ed educata forse aveva bisogno di parlare. E l’alunno per natura chiacchierone forse ha avuto la necessità di potenziare questa sua caratteristica per esprimere un bisogno che non avrebbe potuto esternare in altro modo. Esattamente come me quando un pensiero si affaccia nella mia mente e lo devo condividere immediatamente con la collega. Perché ne sento la necessità e non posso di certo tacere. Chissà. Magari anche l’alunna non poteva tacere, nonostante non fosse il momento opportuno. Il periodo di restrizioni che stiamo vivendo probabilmente ci fa perdere anche la consapevolezza di ciò che in alcuni momenti si può dire e in altri momenti no. Dato che capita a me forse è lecito concederlo anche a ragazzini di undici, dodici e tredici anni.  Ma la parte difficile è proprio trovare l’equilibrio perfetto. Est modus in rebus dicevano i latini. Il problema è proprio trovarlo il modus.

Arriva il pomeriggio e mentre preparo le lezioni e le verifiche o correggo i compiti, alterno momenti di preziosa lucidità a momenti (talvolta lunghi) di sguardi persi nel vuoto e di mente che vaga. Un po’ verso nitidi ragionamenti, un po’ verso il nulla più assoluto. Stanchezza, voglia di svago e di chiacchiere dilatano enormemente quel tempo mentre sto seduta sulla sedia rossa, la sedia delle video lezioni, del lockdown e delle numerose quarantene. Personali o filiali. Una sedia comoda che si adatta bene alla conformazione del mio corpo. Una sedia che mi illude che il comfort garantito possa farmi dimenticare la fatica. Ma così non è.

Si comincia con i compiti a casa, miei e di mia figlia che ogni tanto si lamenta dell’ingiustizia subita per il fatto di averne troppi da fare. In realtà non sono troppi (a mio avviso naturalmente) ma dovendoli fare lei sono il suo punto di vista e la sua personale percezione che contano. La ringrazia pure, la maestra, con tono sarcastico, per il regalo poco gradito. Apprezzerebbe che le venisse concesso un po’ di riposo, tempo libero per rilassarsi e momenti da dedicare a se stessa. Non so se abbia ragione. Almeno nella sua totalità. Sono punti di vista. Certo è che, da insegnante, non posso non comprendere la maestra che nonostante il Covid cerca di offrire agli alunni gli strumenti giusti per andare avanti, garantire competenze e chi più ne ha più ne metta. Ma come sempre accade c’è l’altra faccia della medaglia. E l’altra faccia è costituita da una bambina che in questo lungo periodo di restrizioni chiede di non avere una vita fatta solo di compiti perché evidentemente la percezione quella è. Ecco che improvvisamente irrompe un pensiero: sarò considerata anche io in questo modo dai miei alunni? Anche loro sosterranno di aver subito un’ingiustizia? Forse sì. Non lo posso escludere a priori. E mentre rifletto su tutte queste cose vedo mia figlia che con rassegnazione prosegue con gli esercizi. Il senso del dovere prevale. Frutto acerbo, a volte. Dopo qualche riga solleva la testa. Lo sguardo è inizialmente perso nel vuoto, poi invece segue il movimento dolce delle chiome del fiore diventato ormai disordinato cespuglio, cresciuto a dismisura manco fosse un albero. Mi chiedo perché continui a distrarsi. La sua indole da sognatrice non l’aiuta ma intravedo chiaramente quella stanchezza di bambina reclusa, dei tanti “Questo non si può fare” e “Lì non possiamo andare”, “Metti bene la mascherina”, “Non ti avvicinare troppo”. Divieti. Sempre e solo divieti. O meglio più divieti che concessioni. Cerco di riportarla nella retta via mascherando con toni suadenti una realtà che io stessa vorrei non vivere. “Ti sembra facile a te…”. La sua risposta mi gela. Come l’aria siberiana che irrompe in una giornata poco rigida. Ha ragione. E comunque, nonostante il disappunto, lei continua l’attività con rassegnazione ed io riprendo il mio lavoro.

Non so quanto tempo passa ma senza neanche rendermene conto inizio ad osservare oltre la vetrata, esattamente come lei. Il mio sguardo si distribuisce in parti quasi uguali tra quel cespuglio che è in attesa di essere maldestramente potato dalla sottoscritta e le cime dei possenti arbusti nel giardino della vicina. Quelli, a differenza dei miei, curati e figli di un tempo lontano in cui la parola virus non faceva paura. Un movimento veloce di mia figlia fa cadere la matita per terra ed è così che questa improvvisa sveglia mi riporta al lavoro che avevo iniziato. Mi chiedo perché continui a distrarmi e riporto me stessa a ciò che stavo facendo. Esattamente come sopra. Come mia figlia. Forse come i miei alunni? Neanche questo posso scartare a priori. Fortunatamente il senso del dovere che mi appartiene in modo viscerale mi aiuta a non perdermi. Il senso di colpa e la paura di non fare abbastanza poi fanno il resto. Fattori che da bambina però non possedevo in modo così accentuato. Come credo non li possegga mia figlia almeno in quantità elevata. E forse neanche i miei alunni preadolescenti o quelli già in piena adolescenza. Loro sono individui perennemente indecisi e ammaliati dal divertimento, tentati dalla voglia di svago e libertà. E chi li può biasimare… Non dimentichiamo poi che la privazione accentua il desiderio, da sempre. E forse anche quella che stiamo subendo intensifica ancora di più la voglia di scambiare due chiacchiere e poi altre due e ancora due. Inoltre il tempo trascorso a casa risulta così infinito che sembra di averne molto di più a disposizione, quanto basta da spingerci a dedicarne a sufficienza ad altri pensieri, a distrazioni che apparentemente non hanno alcuna motivazione. Così lo spazio stretto delle mura domestiche viene fisiologicamente bilanciato dalla fantasia. Quella che ci porta lontano e ci fa vivere altro da ciò che ogni giorno pesantemente e lentamente viviamo.

Quella spiegazione che sembrava non esserci comincia ad avere contorni più chiari e i risvolti perlopiù negativi sono sotto gli occhi di tutti. Non possiamo veramente credere che ciò che stiamo vivendo non stia stravolgendo dal più profondo la nostra esistenza e sgretolando le nostre certezze. Anche se cerchiamo con tutte le nostre forze di trascinare le giornate come se nulla fosse. Almeno psicologicamente. Ma così non è. Credo che il conto ci venga presentato ogni giorno e le conseguenze siano abbastanza visibili ad occhio nudo anche dallo sguardo più distratto. Il modus perfetto per affrontare la realtà non l’ho ancora trovato. Si accettano consigli, li terrò favorevolmente in considerazione. Da mamma e da insegnante. 

Piera Anna Mutzu

In copertina: foto di repertorio

Mamma in Sardegna

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