Green pass: il diritto al voto vale più del diritto al lavoro?
Green pass, il “geniale” strumento voluto dal nuovo “Re Mida” italiano Mario Draghi che di fatto limita ai non vaccinati diverse libertà costituzionalmente garantite, come ad esempio il diritto al lavoro e allo studio, sarà richiesto durante le prossime amministrative di ottobre? La risposta è no.
L’unica eccezione negli Ospedali e nelle Rsa, dove il certificato verde resta obbligatorio per i componenti dei seggi delle sezioni elettorali allestite nelle strutture. Per tutti gli atri casi, il protocollo sanitario firmato dai ministri dell’Interno e della Salute, Luciana Lamorgese e Roberto Speranza, ha puntato a equiparare “il diritto al voto con quello alla salute”. Niente di strano se non fosse che con questa decisione il diritto al lavoro e allo studio siano stati praticamente declassati a semplici hobby. Così l’articolo 1 della Costituzione, “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro“, calpestato nel silenzio e nell’indiferenza più totale.
Pertanto, se è vero il detto che dice che “chi comanda fa legge“, nel nostro Paese in questo momento storico ne abbiamo la dimostrazione lampante. E proprio per questo non possiamo meravigliarci se il Governo decida a suo piacimento il quando, il dove e il come sia pericoloso il virus. Ovvero nei posti di lavoro sì, nelle urne molto, ma molto meno. Se siamo tutti d’accordo che le regole a intermitezza e “ad commodum” siano più prossime a un regime che a uno Stato democratico, quale l’Italia dovrebbe essere, perché si permettono certe discriminazioni sociali?
E allora, per farla breve: «se non è obbligatorio il green pass per recarsi alle urne, perché lo si deve avere per lavorare, studiare ed entrare in luoghi chiusi? Il diritto al voto ha più importanza rispetto agli altri diritti garantiti e tutelati dalla Costituzione italiana?
La risposta l’affidiamo ai nostri bravi costituzionalisti, giudici, avvocati, politici e via discorrendo. Bavaglio permettendo, s’intende!