Piano di Rinascita dell’Isola, attese e speranze dei sardi in un articolo di Indro Montanelli del 1961
Riceviamo e pubblichiamo il contributo del signor Gerolamo Taras di Buddusò, che riprende un vecchio articolo del Corriere della Sera in cui Montanelli rappresentò le aspettative di cambiamento dei sardi alla luce dei 400 miliardi lire promessi dallo Stato per lo sviluppo dell’isola.
Una pioggia di miliardi, sembra, stia per cadere sulla Sardegna. PNRR, ZES, ET (programmazione di fondi europei) e tanto altro dall’iniziativa privata (produzione di energia da fonti rinnovabili) promettono di colmare, una volta per tutte, il divario secolare che divide la Sardegna dal resto dell’Italia. Superando le sacche di miseria e arretratezza che, ancora oggi, caratterizzano le sue strutture economiche e sociali. Promesse che giungono puntualmente, quando la crisi che investe il sistema produttivo isolano, mostra i segni di un inequivocabile declino. Generando tante aspettative nelle frange più deboli della società, seguite, spesso, da cocenti delusioni. In ordine di tempo è, questo, l’ultimo tentativo del Governo nazionale di risolvere l’annosa questione sarda. Nel secolo scorso ve ne sono stati tanti altri.
In un articolo del 9 giugno 1961, pubblicato sul Corriere della sera, intitolato “Il Piano di rinascita dell’Isola – la Pioggia d’oro promessa ha creato un euforia in Sardegna” Indro Montanelli, così, rappresentava le attese di cambiamento dei sardi. «Avessero tutti ricevuto l’annuncio di una favolosa eredità da un lontano zio d’America – un’eredità leggermente vaga, ma tale da svegliare speranze molto accese – i sardi non potrebbero trovarsi in uno stato d’animo più euforico di quello in cui sono da quando, il 17 gennaio è stato approvato il Piano di Rinascita che su quest’isola assetata di capitali farà scendere la gran pioggia dei 400 miliardi promessi dallo Stato e delle altre centinaia di miliardi che l’iniziativa privata, allettata da numerose facilitazioni, dovrebbe far giungere dal Continente e dai paesi stranieri». Siamo – in quel mese di giugno – in piena campagna elettorale per le elezioni regionali ed il piatto forte dei comizi era costituito, manco a dirlo, dal Piano di Rinascita.
«Ma ancora ben pochi sanno, continuava il grande giornalista, cosa esso preveda con esattezza e nessuno saprebbe dire chi ne trarrà i benefici maggiori. Gli stessi esperti si contentano di definirlo “una cornice finanziaria” senza indicare le linee e i colori del quadro che dovrà abbracciare, ma la cornice sarà di oro zecchino e nel quadro, proprio perché vi sono state le piume pennellate, tutti sono liberi di vedere l’immagine più desiderata». I sardi non si attendevano la luna, le aspettative erano abbastanza modeste e nascevano e facevano i conti con la dura realtà che rendeva invivibili i paesi dell’interno.
«Per alcuni, il piano significa la strada di accesso al villaggio sperduto fra le montagne; per altri l’acquedotto o la casa colonica, per altri ancora i crediti per trasformare in sana azienda agricola il fazzoletto di terra chiuso fra le siepi di fichi d’India. C’è chi vede nel Piano di Rinascita l’inizio dell’industrializzazione di questa Isola costretta ad importare quasi tutti i manufatti e tutte le macchine di cui ha bisogno; e c’è chi spera, grazie alle nuove navi traghetto, in un aumento delle esportazioni e in una diminuzione del costo della vita».
Probabilmente le aspettative più sostanziose e più ragionate si organizzavano altrove, soprattutto nel mondo della finanza, come emergeva soprattutto nella denuncia della Sinistra, che evocava una rinascita costruita per il grande capitalismo e per i monopoli, con i sardi ridotti ad una scusa o ad un pretesto. Concetto rimarcato dall’autore dell’articolo. «Qualcuno pensa, anche, come è naturale, al grande movimento di denaro e agli affari che ne deriveranno. Tuttavia, la maggior parte dei sardi attendono dal Piano possibilità di lavoro, per vedere scomparire le tristi file davanti agli uffici di collocamento che, negli ultimi anni si erano andate allungando, mentre si accorciavano nelle altre regioni italiane. Attendono un livello più dignitoso di vita e un aumento del reddito, ora tanto inferiore a quello del Continente. Ma soprattutto attendono la fine del lungo isolamento. “L’Italia, si dice, non volterà più le spalle alla Sardegna”».
«Forse qualche speranza andrà delusa – continuava l’articolista –, ma non dovranno andare deluse tutte le speranze, perché altrimenti si ripeterebbero e – aggravate – le manifestazioni di protesta che portarono allo sciopero generale e alla chiusura delle scuole quando si sparse la voce, che invece dei quattrocento miliardi, l’isola ne avrebbe ricevuto soltanto centoventi». Un chiaro segno che i sardi cominciavano davvero a perdere la pazienza e che difficilmente avrebbero permesso, senza protestare, che le tanto attese riforme economiche e sociali, venissero in qualche modo inquinate da attori esterni, per fini del tutto incompatibili con la Rinascita.
Il disegno di legge approvato dal Governo non si discostava di molto dalle speranze coltivate dai sardi già dall’indomani dell’Autonomia. Esso prevedeva stanziamenti per 400 miliardi di lire in 15 anni per realizzare i seguenti tre obiettivi: ampliamento della infrastruttura di base e sistemazione delle condizioni ambientali generali; attuazione degli investimenti necessari a consentire l’utilizzazione dei fattori produttivi industriali e agricoli disponibili nell’isola; adeguata preparazione culturale e tecnico-professionale.
Lo stato di arretratezza economico e sociale della Sardegna, in quegli anni aveva connotati ben precisi. Un complesso di esigenze mal soddisfatte, che indirizzavano la vita dei sardi in un percorso costellato di miseria e privazioni, senza alcuna via di uscita, in assenza di un intervento straordinario dall’esterno. Non si trattava di uno stereotipo. In quegli anni bastava andare nei paesi dell’interno per capire perfettamente cosa i sardi intendessero per rinascita e cosa si attendessero dal Piano. I giornali del Continente inviavano i loro giornalisti di punta per cercare di studiare il modo di essere di quelle popolazioni, capirne le cause e soprattutto denunciare all’opinione pubblica nazionale le responsabilità dello Stato che aveva consentito, per così lungo tempo, il permanere di tanta miseria e abbandono, in una parte rilevante del suo territorio.
Gerolamo Taras
In copertina: panorama di Ottana (NU) con la zona industriale sorta agli inizi degli anni 70 nell’ambito del Piano di rinascita dell’isola approvato dal Parlamento nel 1962 . (cartolina edizioni Italo & Costanza Manca – Ghilarza)