• 21 Novembre 2024
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Sardegna: in crescita l’export, ma bilancia commerciale sempre più negativa

Nel primo semestre 2022 il valore delle esportazioni sarde è cresciuto del 61%, ma al netto dei prodotti petroliferi, il semestre si è chiuso con una complessiva flessione del -8,4%: il secondo risultato peggiore (dopo il Molise) tra le venti regioni italiane. I dati del report del Centro Studi della Cna Sardegna.

Nel corso del primo semestre 2022 il valore dei beni prodotti in Sardegna e venduti all’estero è cresciuto del 61% sospinto dall’aumento dei prezzi nel settore dei prodotti petroliferi raffinati. Eppure, al netto della lavorazione degli idrocarburi, il semestre si è chiuso con una complessiva flessione dell’export regionale pari al -8,4%, il secondo risultato peggiore (dopo il Molise) tra le venti regioni italiane.

La flessione è da imputare quasi esclusivamente al crollo delle vendite di prodotti dell’industria metallurgica (-69%). Tiene invece il mercato estero dei prodotti agroalimentari (+10%), soprattutto grazie al comparto vitivinicolo e a quello della pasta e dei prodotti da forno; prosegue, di contro, il trend di indebolimento della domanda estera delle produzioni lattiero casearie (-5,5% per l’export di formaggi e derivati), che ha compensato la crescita del prezzo dei prodotti sardi (il prezzo al kg del pecorino ha ormai superato quello del parmigiano).

Becugna copia

L’ultimo report del Centro Studi della Cna Sardegna evidenzia come la Sardegna sia una delle regioni italiane con la bilancia commerciale più squilibrata, circostanza dovuta anche alla elevatissima quota di import di materie prime per l’industria petrolifera. In un contesto di rapida ascesa dei prezzi all’import si amplia infatti il saldo tra import ed export.

“L’incremento medio dei prezzi dei beni importati è quantificabile in un +46% rispetto al primo semestre del 2021, con punte del +83% per quanto riguarda le commodity industriali (soprattutto idrocarburi) – commentano Luigi Tomasi e Francesco Porcu, rispettivamente presidente e segretario regionale della Cna Sardegna -. Questa crescita dei prezzi, su cui impatta anche l’indebolimento della moneta unica nei confronti del dollaro, mette pressione al sistema delle imprese, ne riduce i margini e si riflette, indirettamente, sul livello dei prezzi per i beni al consumo”. Il contesto di rapida ascesa dei prezzi all’import e i costi sull’energia significativamente più elevati che le imprese sarde sostengono rispetto ai competitors rischiano di mettere fuori mercato pezzi importanti del tessuto produttivo isolano”.

La situazione dell’export sardo. Escludendo i prodotti del settore petrolifero, che nel semestre ha totalizzato vendite all’estero per più di 3,6 miliardi di euro, ovvero più dell’85% del totale, il comparto che si conferma più rilevante è quello dei prodotti chimici (140 milioni), che ha registrato una dinamica positiva rispetto al 2021 (+14,6%); segue il settore dell’agroalimentare, con un valore di prodotti esportati pari circa 99 milioni di euro nel semestre, in crescita del +10%, sebbene con tendenze variegate a seconda dei prodotti.

In fortissimo calo, invece, la vendita dei metalli di base e prodotti in metallo (-69,5%) che in pratica determina gran parte del saldo negativo dell’export regionale al netto del settore petrolifero. Il valore delle vendite di prodotti in metallo è passato da 235 milioni del primo semestre 2021 a poco meno di 72 milioni nel primo 2022.

Il settore agroalimentare. Quanto al settore agroalimentare, nell’anno in corso le vendite all’estero hanno rappresentante il 16% di tutto il valore dell’export regionale al netto dei prodotti petroliferi. In questa fase la domanda estera di prodotti agroalimentari sardi si conferma vivace, ma con tendenze diversificate.

Continua la crescita del comparto degli insaccati e delle carni lavorate (5,8 milioni nei primi sei mesi del 2022, +152% del valore delle vendite), e segnali positivi arrivano anche dal settore vitivinicolo (15 milioni, +17,7%) e dal settore pastaio e dei prodotti da forno (14 milioni, +57,7%).

Il dato che preoccupa maggiormente è però l’indebolimento della domanda in ambito lattiero caseario: formaggi e derivati rappresentano mediamente oltre il 60% dell’export agroalimentare regionale (57 milioni nel primo semestre 2022), ma il calo registrato tra gennaio e giugno, pari a circa il -5,5%, suona come un campanello di allarme da mettere in relazione con il contesto economico incerto e recessivo dei principali mercati di sbocco, ovvero Stati Uniti e Germania. La forte concentrazione territoriale della domanda resta il principale fattore di rischio per le lavorazioni agroalimentari regionali.

Il trend di rallentamento delle vendite appare evidente anche guardando i dati sull’export nazionale di pecorino e dolce sardo, un trend avviatosi già a settembre del 2021. L’indebolimento della domanda estera appare evidente se si analizzano le quantità vendute: nel terzo trimestre 2021 l’export totale di pecorino era pari a 6.000 tonnellate, poi progressivamente scese nei trimestri successivi a 5.800, 4.856 e 4.471 rispettivamente. A sostenere il valore dell’export del pecorino è tuttavia il livello del prezzo, arrivato, a giugno, a quasi 12 euro al chilogrammo, persino superiore a quello del parmigiano reggiano (11,5 euro al kg).

La bilancia commerciale. Nel primo semestre del 2022 le imprese sarde hanno importato beni, prodotti intermedi e materie prime per oltre 6,6 miliardi di euro: il 69% in più rispetto allo stesso periodo del 2021.

Il saldo tra import ed export è aumentato arrivando a oltre 2,3 miliardi di euro di maggiori importazioni: la Sardegna è una delle regioni italiane con la bilancia commerciale più squilibrata.

In un contesto di crescita dei prezzi, specialmente nell’ambito delle commodity industriali ed energetiche, e di rafforzamento del dollaro rispetto all’euro, l’aumento dei prezzi alle importazioni erode i margini delle imprese produttrici e si riflette sull’inflazione. Se si prende come riferimento il primo semestre dell’anno passato, la crescita dei prezzi è arrivata a superare l’83% nell’ambito delle materie prime industriali (tra cui petrolio e gas), che assorbono circa il 70% di tutto l’import regionale; l’aumento si è però registrato anche nell’ambito delle materie prime agricole (+25%), nei prodotti alimentari (+78%) e in quasi tutte le branche manifatturiere.

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